Pronto…ascolto Centro di ascolto per malati di tumore e loro familiari 068416464

Un sostegno umano e psicologico telefonico per i malati oncologici e per i loro familiari

Quello che importa nella vita come di fronte alla morte è non sentirsi abbandonati e soli”. Gigi Ghirotti

Vito Ferri, psicologo, psicoterapeuta, sociologo
Angela Tenore,
psiconcologa, psicoterapeuta
Nicasia Teresi,
direttore generale Fondazione Gigi Ghirotti Onlus

Pubblicato in: “AUS L’Ancora nell’Unità di Salute” Rivista bimestrale di pastorale della salute. Anno XLIV, N.2 Marzo-Aprile 2022, pp. 123-132

 

Abstract

La patologia oncologica impatta spesso come un furioso tsunami sulla vita della persona malata e sui suoi familiari. Lo stress si accumula e le crisi che accompagnano l’evolversi
della patologia, i trattamenti, le fasi della malattia, si susseguono incalzanti, impattando tutte le dimensioni della persona umana e lasciando spesso poco tempo ed energia per riadattarsi ai continui cambiamenti, per organizzarsi,
reagire. Persino quando il cancro risulta ben controllato dalle terapie o scompare clinicamente, la persona sperimenta una particolare forma di ansia per una eventuale recidiva, la cosiddetta “sindrome della spada di
Damocle”: ansia che il tumore possa riapparire e così l’attesa dell’esito di ogni esame clinico di routine durante il follow up diventa logorante e angosciante. Lo tsunami cancro sollecita nella persona
malata e nei suoi cari una costellazione di bisogni contemporaneamente richiedenti risposte. Accanto ai bisogni di ritrovare la condizione di salute, di controllare e alleviare i sintomi, esistono bisogni psico-emotivi, affettivi,
relazionali, sociali, spirituali che premono per ricevere risposte. La prossimità, l’empatia, l’attenzione sono sempre importanti per un essere umano sin dalla nascita, e lo sono in modo particolare quando
si affronta una crisi indotta da una grave malattia. Questa costellazione di bisogni spinge l’individuo a ricercare le risorse, in sé e nel proprio ambiente relazionale e sociale, per rispondere nel modo più
soddisfacente possibile. Una di queste risorse psico-sociali a livello nazionale è sin dal 1999 il Centro di ascolto della Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti onlus, che nasce per aiutare la persona affetta dal cancro
e i suoi familiari a fronteggiare la malattia in tutte le sue fasi e a non sentirsi abbandonati e soli.

 

Una risorsa personalizzata

 

Nell’affrontare problemi o difficoltà che ci sovrastano minacciosi, irruenti, che si abbattono come un fulmine sulla nostra vita sconvolgendola e squilibrandola, emerge imperioso il bisogno di avere punti di riferimento affidabili e accessibili. Quando la risorsa verso cui ci spinge un bisogno è rappresentata da un altro essere umano, vogliamo che sia non solo competente per quelle che sono le peculiarità del problema, ma che ci accolga nella nostra vulnerabilità e che sappia riconoscere le nostre esigenze, comprendere la nostra contingente condizione di incertezza e di disorientamento, offrendoci la sua guida e sostegno. Quando il problema si chiama cancro, non un cancro astratto e per sentito dire, ma il cancro che colpisce me o un mio caro, allora il bisogno di risposte personalizzate diventa fondamentale a tutti i livelli della persona: fisico, emotivo e relazionale, spirituale e sociale. La personalizzazione delle risposte al bisogno implica che queste siano il più possibile mirate alla persona malata considerando le sue peculiarità in senso multidimensionale e considerando anche i suoi familiari (il caregiver in particolare). Personalizzazione vuol dire anche più in generale valorizzazione della persona umana attraverso il riconoscimento e il rispetto della dignità. La personalizzazione non può dunque prescindere dalla interazione e relazione con altri esseri umani, in termini di presenza, vicinanza, comprensione, attenzione. Nella solitudine indesiderata, nell’abbandono patito, nella desolazione viene meno il fattore umano relazionale, viene meno cioè un prerequisito fondamentale della personalizzazione. A tale proposito è fondamentale il messaggio che ci porge la frase che abbiamo posto come incipit: “Quello che importa nella vita come di fronte alla morte è non sentirsi abbandonati e soli”. Sono le parole di Gigi Ghirotti, giornalista ammalatosi di cancro e autore di una serie di articoli di quotidiano e due inchieste televisive in cui racconta, a partire dalla vicenda personale, cosa accade alla persona malata che riceve le cure in ospedali pubblici.

Il Centro di ascolto della Fondazione Gigi Ghirotti sin dalla sua nascita nel 1999 ha visto nella personalizzazione l’ossatura sulla quale costruire le azioni di informazione, orientamento e sostegno psicologico a persone malate di tumore e ai loro familiari. Una risorsa che accogliesse la persona e riconoscesse la declinazione peculiare, unica e irripetibile dei suoi bisogni e che prendesse in carico e accompagnasse, quando necessario, la persona malata e/o i suoi familiari attraverso una relazione di supporto con uno stesso psicologo-psicoterapeuta esperto di psiconcologia.

 

Lo tsunami cancro

 

L’impatto traumatico della diagnosi, il ricovero in ospedale, l’attesa dell’intervento chirurgico, gli effetti collaterali dei vari trattamenti e il disagio indotto dalle innumerevoli indagini diagnostiche a volte invasive, il peso del ricordo delle esperienze spiacevoli già vissute da amici o parenti ammalatisi di cancro, l’ansia delle persone care e poi le tante scelte importanti e le decisioni da prendere in tempi brevi e in un clima di tensione, costituiscono una continua fonte di dis-stress (esperienza emozionale spiacevole multifattoriale). È un carico di emozioni e di problemi difficile da gestire e sopportare per i pazienti e per i loro familiari.

A tutto questo ogni persona reagisce in modo diverso secondo l’interazione di variabili individuali, quali, ad esempio, le esperienze di vita e le risorse ambientali e familiari presenti.

Nella reazione soggettiva alla malattia oncologica va pure considerata la valutazione cognitiva che il paziente opera sulla sua condizione e su quello che sta patendo. I processi di valutazione cognitiva sono influenzati da vari fattori tra cui: l’insieme delle convinzioni del malato su di sé e sulla propria condizione, le aspettative ed i progetti personali, il senso di identità e di controllo, il ricordo di esperienze precedenti ed il livello di supporto sociale disponibile.

La malattia severa, in particolare il cancro, genera una crisi, ossia una “rottura della continuità”, della quotidianità. Il cancro fa irruzione nella vita della persona con incalzanti richieste di cambiamento, dopo un primo impatto generante shock, confusione, sgomento, caos di emozioni e un frullato di pensieri, si pone la necessità di adattamento, di fronteggiamento, di mobilitazione di risorse. Presa coscienza della propria fragilità rivelata brutalmente dalla diagnosi di cancro, si avverte il pericolo per la propria vita, spunta dalla linea dell’orizzonte lo spettro della morte. Solitamente questo vissuto sollecita una richiesta di aiuto, ci si rende presto conto che da soli è difficile affrontare questa malattia. Si deve ricorrere dunque necessariamente a risorse che la persona malata non può trovare in sé: persone care, amici, medici oncologi, servizi sanitari, volontari, ecc. Il Centro di ascolto psico-sociale è una di queste risorse.

Organizzazione del Centro di ascolto

Il Centro di ascolto è allocato in una postazione dedicata, all’interno della sede nazionale di Roma della Fondazione Gigi Ghirotti. È possibile per gli psicologi rispondere all’occorrenza da un’altra sede, grazie al trasferimento di chiamata, modalità operativa molto utilizzata ad esempio durante la pandemia Covid19, in particolare durante i primi “lockdown”, quando il Centro di ascolto non ha mai chiuso e anzi ha offerto supporto anche a persone con patologie non oncologiche.

Gli operatori sono psicologi-psicoterapeuti con formazione psico-oncologica. La formazione di base è completata ed integrata da un addestramento specifico alla comunicazione telefonica e dalla formazione permanente e supervisione presso la Fondazione. L’attività principale è quella di offrire sostegno psicologico telefonico, anche se nella storia del Centro di ascolto sono stati utilizzati altri canali di comunicazione come il videotelefono, la videochat, o setting come colloqui vis a vis in sede, a domicilio o in strutture di ricovero e cura; incontri di gruppo (es. il “Gruppo tenda” per familiari in lutto).

Le prestazioni offerte sono gratuite ed estese a tutto il territorio nazionale. Il Centro è attivo dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18 ed è raggiungibile attraverso il numero telefonico 06 8416464. Nelle ore di chiusura risponde una segreteria telefonica alla quale è possibile lasciare il proprio recapito telefonico per essere richiamati dallo psicologo alla riapertura del Centro.

I destinatari principali delle attività del Centro, come già detto, sono la persona malata e i suoi familiari. A volte capita che sia la persona malata e sia un suo familiare (caregiver) richiedano sostegno psicologico, in tal caso ciascuna persona è presa in carico da un differente psicologo.

Accanto ai destinatari principali, il Centro di ascolto è contattato a volte anche da operatori sanitari, assistenti sociali, volontari richiedenti informazioni, orientamento o un consulto.
Capita che chiamino anche persone con problemi di natura non oncologica (solitudine, patologie croniche, disagio psichico, dipendenze, ecc), lo psicologo in questo caso accoglie e ascolta tutti e poi, avvalendosi di una banca dati di risorse territoriali costruita negli anni o facendo una ricerca ad hoc su internet, offre a chi chiama delle indicazioni su risorse specifiche per i bisogni emersi e per la domanda di aiuto.

Informazione e orientamento

Frequenti sono le richieste al Centro di ascolto di informazioni per orientarsi nel mondo della sanità e per attivare risorse presenti sul territorio. L’informazione richiesta, di qualunque tipo essa sia, sottende in ogni caso il bisogno di orientamento, di conoscenza rassicurante, di promozione dell’autonomia decisionale. Informare è un processo dinamico, non è mai un mero fornire un numero di telefono o il nome dell’ospedale oncologico più vicino o dell’ambulatorio di terapia del dolore. Il processo informativo rientra in una dinamica di colloquio e di relazione anche se si esaurisce
nel giro di una sola telefonata. Si ascolta “oltre”, si prova cioè a fare quello che si chiama “analisi della domanda”, esplorando l’implicito della domanda, che spesso nasconde un carico di paure, di ansia e di angoscia. Può essere che la telefonata informativa sia unica, non segua cioè ad essa una presa in carico, ma è essenziale che l’informazione venga il più possibile personalizzata, ovvero il messaggio deve tenere conto della persona a cui è rivolto, dello stato emotivo, del livello culturale, deve essere chiaro, sintetico, è fondamentale dunque che il passaggio di informazioni -avvenga in un clima di empatia e comprensione umana, creando una piattaforma comunicativa con la persona.

L’atto di fornire informazioni personalizzate in un clima di empatia è di per sé una forma di sostegno psicologico. Una corretta informazione è fondamentale per ridurre l’ansia, per favorire il controllo della situazione, per fornire elementi di riflessione per la pianificazione delle scelte nel rispetto dell’autonomia decisionale della persona.

Questi presupposti si concretizzano operativamente nell’ambito di ogni colloquio telefonico in alcune tappe salienti, che possono essere così sintetizzate:

  • accoglienza;
  • valutazione del significato della richiesta. Dietro una richiesta di informazioni spesso si celano preoccupazioni, ansie e paure; è importante comprendere appieno il motivo della telefonata e rispondere in maniera mirata e personale;
  • ascolto attivo. Prestare empaticamente attenzione a quello che la persona dice, raccogliere la narrazione del suo vissuto di malattia e della sua storia di vita, restituendole il valore ed il significato della sua esperienza;
  • informare in modo personalizzato. Le informazioni devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile, adeguandole ai bisogni della persona, al suo stato emotivo e al tipo di difese psicologiche attuate;
  • considerare le implicazioni emotive e personali. È importante offrire lo spazio ed il tempo necessari perché la persona esprima – se è un suo bisogno – le proprie emozioni, i vissuti e i significati personali, e in questo caso fornirle contenimento, supporto e rassicurazione;
  • sintesi conclusiva e feedback.

Il Centro di ascolto si avvale di una banca dati di risorse attentamente selezionate. L’archivio continua ad ampliarsi e ad aggiornarsi sollecitato dal costante e variegato flusso di richieste formulate da chi contatta il Centro per richiedere informazioni. Nei casi in cui si renda necessario individuare nuove risorse socio-sanitarie pubbliche e del no-profit, lo psicologo del Centro le ricerca e le contatta telefonicamente o per email per valutare se corrispondono alla richiesta; solo in seguito mette l’informazione a disposizione dei potenziali richiedente, in caso di difficoltà nel reperimento di informazioni ci si sente anche una seconda volta e comunque si chiede alla persona, se lo desidera, di richiamare per dare al Centro di ascolto un feedback in modo che si possa valutare sia l’utilità dell’informazione fornita, sia avere una valutazione della risorsa alla quale è stato indirizzato il richiedente. In questo modo, il Centro di ascolto funge da primo filtro e da facilitatore per il contatto successivo fra ammalato o familiare e struttura/risorsa, gettando le basi di un ponte di solidarietà e agendo in un’ottica di rete.

La persona può essere soddisfatta dalle informazioni ricevute e l’incontro telefonico si conclude, ma può essere che emerga il bisogno di sostegno psicologico o che questo venga primariamente richiesto dalla persona che contatta il Centro.

Sostegno psicologico

L’interazione tra psicologo del Centro di ascolto e la persona malata e/o il familiare è una relazione interpersonale di tipo professionale tra chi ha le competenze tecnico-scientifiche e comunicativo-relazionali necessarie per rispondere e chi esprime un bisogno informativo, una richiesta, un problema. Questa relazione di sostegno tende ad un rapporto complementare che rispetti la diversità dei ruoli e che eviti di creare rapporti simmetrici o asimmetrici. È compito dell’operatore essere nella relazione “per la persona”, ascoltandola e cercando di cogliere il suo punto di vista, senza giudizi; nonché proporle informazioni scientificamente valide e aggiornate, ma comprensibili e argomentate, che possano integrarsi nel suo schema di riferimento cognitivo ed emotivo, nel suo contesto di vita, assumere un significato ed essere utilizzate per affrontare paure, dubbi e contenere l’ansia, facilitando, altresì, il processo decisionale e favorendo l’adattamento funzionale a situazioni di malattia. Il contenuto della comunicazione è, infatti, tanto più efficace quanto più riesce a contattare non solo la dimensione cognitiva, ma anche quella emotiva, quindi se è vicino al punto di vista dell’interlocutore, alla sua percezione, se riesce non solo ad aumentare le conoscenze, ma pure a fornire maggiori opportunità (risorse) per affrontare la situazione del momento. A tale riguardo occorre notare che l’interfaccia mediatica o il canale di comunicazione che è il telefono esclude una buona parte del linguaggio non verbale che invece orienta e arricchisce l’interazione faccia a faccia di prossimità, condividendo cioè lo stesso spazio del setting ad esempio dello studio psicoterapeutico. Anche l’uso di tecnologie che permettono di attivare il canale visivo nella comunicazione (videochat, videoconferenza, webinar, ecc.) non riescono comunque a fornire tutte le informazioni proprie della comunicazione non verbale. Gli psicologi del Centro di ascolto sono particolarmente formati a compensare il deficit comunicativo non verbale acuendo la capacità di percepire sfumature del paralinguaggio (es. pause, sospiri, colpi di tosse, inspirazione brusca nasale, cambiamenti di tono o intensità della voce, ecc.) e a chiedere, quando occorre, un feedback all’interlocutore (“la sua voce è diventata più tremula e sta tirando col naso, che sta accadendo?” “Sento dei rumori di auto di sottofondo, si trova per strada?”). Particolare cura dello psicologo è prestato alla sua voce, sicuramente più di quanto non accada in un setting vis á vis. Una voce gradevole, chiara, calda, accogliente, “abbracciante” è fondamentale nella comunicazione telefonica, come anche una voce che infonde forza, sicurezza e coraggio, o che varia e modula tono e volume in funzione dell’emozione in corso nell’interlocutore. Una volta una donna che aveva ricevuto supporto durante una crisi di angoscia rivelò successivamente allo psicologo che quel giorno, durante il contatto telefonico, lei ebbe beneficio non tanto da quello che le diceva lo psicologo, ma da come lo diceva.

L’intervento di sostegno psicologico può raggiungere l’obiettivo, ritenuto soddisfacente dalla persona, nel giro di uno o due contatti telefonici, come solitamente accade per i bisogni di informazione/orientamento e di fronteggiamento di una crisi di lieve impatto emotivo, cognitivo o relazionale. In altri casi invece l’intervento assume la forma di una vera e propria “presa in carico”. Ciò si realizza attraverso la continuità del contatto tra il paziente e/o il familiare con il medesimo psicologo. Avere lo stesso psicologo di riferimento è di per sé un motivo di sollievo, la relazione di fiducia reciproca e di collaborazione è fondamentale per l’efficacia del sostegno sia durante il tempo del colloquio telefonico (che può variare da pochi minuti ad un’ora o anche più in alcuni casi), sia nella quotidianità della persona. “Dottore” – ci sentiamo spesso dire – “l’altro giorno, mentre stavo per cedere allo sconforto, mi sono ricordata di quello che ci siamo detti e ho ritrovato la forza di reagire”, oppure: “ho potuto reggere emotivamente alla brutta notizia che il cancro è ritornato perché sapevo che avremmo affrontato insieme la mia angoscia”.

Quando la presa in carico dura molti mesi e a volte anni, possono bastare a volte poche parole, pochi minuti densissimi di ascolto profondo per il sollievo dall’angoscia; allora lo psicologo può sentirsi dire: “È bello non doverti raccontare ogni volta daccapo la mia storia, il mio dolore”; “Sai? L’altro giorno ero tutta un dolore, e mi ha fatto tanto bene solo sentire la tua voce calma, ormai familiare, anche se il dolore non sempre mi permetteva di seguire quello che dicevi”; “Col tempo mi sono reso conto che la tua non è solo “la voce telefonica di un esperto”, ma calore umano, ascolto profondo, una presenza che stimola ad andare avanti nonostante la malattia, anche se non ci sentiamo spesso come due anni fa e persino quando non ci sentiamo”.

Oltre a promuovere il sollievo, il Centro di ascolto svolge un lavoro specifico di “cura del sollievo” (AUS, n.4, 2021, pp.323-340), ossia si prende cura anche della persona che si sente meglio o che ha un’attenuazione dei sintomi, per rinforzare le emozioni piacevoli, mobilitare l’energia positiva, riprendere a progettare anche se a breve termine: “Dottoressa, la prossima settimana torno al lavoro in ufficio dopo mesi di assenza per malattia, sono emozionatissima, ma ho anche un sottofondo di paura che mi offusca un po’ la gioia, ne vorrei parlare”; “Oggi mi sento meglio, vorrei celebrare in qualche modo questo sollievo, come posso fare?”.

Il lavoro degli psicologi si fonda su un’attenta e costante osservazione clinica dell’evoluzione della malattia oncologica, accompagnata da interventi di contenimento e di accompagnamento nella espressione delle emozioni (allo scopo di facilitare l’elaborazione del vissuto di malattia), di attivazione dei canali comunicativi, sia all’interno del nucleo familiare che nell’interazione con l’équipe curante; di promozione delle risorse interne ed esterne alla persona.

L’intervento è modulato in funzione della personalità del richiedente aiuto, ma anche allo stadio della malattia, ai problemi ad essa legati e al contesto familiare. Partendo dalla considerazione che ogni famiglia ha una sua specificità e che l’intervento psicologico va personalizzato e adattato ai bisogni di quella particolare famiglia, è importante lavorare in varie direzioni, quali: i livelli comunicativi, la gestione dell’intimità, l’effetto della malattia sull’asse dipendenza/indipendenza tra paziente e famiglia, la gestione della frustrazione e del senso di impotenza, l’angoscia e – nella fase terminale – la preparazione all’evento morte.

Il lavoro dello psicologo potrà assumere la forma di sostegno emotivo-relazionale per le decisioni da prendere, per il fronteggiamento delle crisi, per non sentirsi abbandonati e soli, oppure di intervento che potremmo definire psicoterapeutico breve, con un intento concordato di cambiamento e di obiettivi da raggiungere (es. superare l’angoscia claustrofobica di sottoporsi alla TAC).

Chi richiede sostegno psicologico esprime frequentemente nella prima telefonata un impellente bisogno di adattamento e di riequilibrio a vari livelli, ha bisogno di sperare, di organizzarsi sia in senso pratico, sia in senso relazionale e cognitivo. Chiede, a volte implicitamente, di aiutarlo ad affrontare al meglio la crisi che ha fatto irruzione nella vita della famiglia con la diagnosi di cancro o che continua a ripresentarsi durante le terapie, l’eventuale recidiva, la fase terminale e il lutto. A volte ci accade di aiutare familiari e malati a riadattarsi alla vita quotidiana dopo la remissione dei sintomi. La malattia, anche quando è “superata”, lascia segni profondi, situazioni familiari gravate da problemi economici e relazionali, ruoli confusi e ancora caratterizzati da una configurazione assunta durante l’emergenza-malattia, anche parte di ciò che afferisce alla sfera spirituale esce spesso cambiato dal tunnel della malattia. Date queste condizioni, è difficile per la famiglia vivere pienamente il sollievo della regressione dei sintomi; anche perché la “spada di Damocle” della recidiva o di effetti iatrogeni della chemioterapia o radioterapia, continuerà per anni ad oscillare minacciosa sulla testa della famiglia e della persona malata in fase di follow up. Tuttavia la persona è in cuor suo rassicurata dalla consapevolezza che in caso di ricaduta troverà sempre qualcuno al Centro di ascolto pronto ad accoglierla, ascoltarla e aiutarla a rialzarsi.

Il lavoro degli psicologi non si limita al sostegno telefonico. Al di qua del telefono c’è un lavoro altrettanto importante che riguarda il benessere stesso degli psicologi. Molto importante il sostegno reciproco sia professionale sia umano. Accade spesso che dopo una telefonata difficile uno psicologo chieda il supporto emotivo o un parere tecnico al collega. Periodicamente ci si incontra in una riunione per una analisi delle criticità presentate dalle persone in carico o, allargando la riunione al direttore generale, per organizzare meglio il lavoro, i turni, gestire le eventuali emergenze e programmare le altre attività della Fondazione in cui sono coinvolti anche gli psicologi (formazione, ricerca, promozione, contenuti dei social, ecc.).

In conclusione, la prassi valutativa delle attività del Centro, la formazione individuale e di gruppo, i feedback reciproci, il clima di mutuo-aiuto e di amicizia, le riunioni tra psicologi e quelle organizzative con la direzione generale e le decisioni strategiche e programmatiche dell’esecutivo della Fondazione, hanno consentito al Centro di ascolto di attraversare ben due decenni ed entrare nel terzo sempre pronti all’ascolto e a stare accanto a chi soffre a causa di un tumore affinché non si senta abbandonato e solo.